George Floyd: Minneapolis e il Black Lives Matter contro il razzismo
Ancora una volta, il mondo è protagonista e vittima di abusi di potere ed episodi di razzismo. L’individuo coinvolto, George Floyd, perde la vita il 25 maggio del 2020 nella città di Minneapolis, in Minnesota. La sua morte ha un notevole impatto sociale. Il mondo del cinema, della musica e dello spettacolo si fermano – così come il resto degli individui. Lo scopo è quello di riflettere, condividendo per le strade americane e sui social tutto il loro sconforto in merito all’accaduto. Anche quest’ultimo episodio di razzismo scatena il Black Lives Matter, un movimento attivista internazionale, originato all’interno della comunità afroamericana.
CHI ERA GEORGE FLOYD?
George Floyd, di origini afroamericane, aveva 46 anni. È nato a Houston, in Texas. Ha frequentato la Yates High School come atleta multisport, diplomandosi nell’anno 1993. George Floyd era un rapper sotto lo pseudonimo di “Big Floyd”, associato al gruppo hip hop di Houston Screwed Up Click e freestyle. Nel 2009, è stato condannato a cinque anni di prigione per rapina aggravata con arma mortale. Si è trasferito in Minnesota intorno al 2014 e, nei pressi di Minneapolis, ha lavorato come guardia di sicurezza di un ristorante per diversi anni. A causa dell’ordine di residenza del Minnesota durante la pandemia di COVID-19, George Floyd aveva recentemente perso il lavoro ed era padre di due figli, Quincy Mason Floyd di 22 anni e Gianna Floyd di 6 anni.
GEORGE FLOYD: COS’È SUCCESSO?
La sera di lunedì 25 maggio 2020, George Floyd acquistò un pacchetto di sigarette a Cup Foods, negozio che frequentava abitualmente, all’incrocio tra East 38th Street e Chicago Avenue a Minneapolis, in Minnesota. Due impiegati del negozio, convinti che la banconota da 20 dollari lasciata da George Floyd fosse contraffatta, raggiungono quest’ultimo fuori dall’edificio con l’intenzione di farsi restituire il prodotto, ma senza risultato. Motivo per cui decidono di contattare il 911.
ORE 20.10
20.10, gli agenti del dipartimento di polizia di Minneapolis raggiunsero Cup Foods ed entrarono nel negozio. Un minuto più tardi, l’agente Thomas K. Lane si avvicinò al SUV di George Floyd, estrasse la pistola e ordinò a quest’ultimo di posizionare le mani sul voltante. Successivamente, Lane arrestò Floyd per aver utilizzato una valuta contraffatta. Il collega di Lane, Kueng, bloccò Floyd, ammanettato, sul marciapiede contro il muro di fronte al ristorante Dragon Wok. Fu solo dopo un paio di minuti che i poliziotti lo costrinsero ad entrare all’interno del loro veicolo.
ORE 20.17
Gli agenti Lane e Kueng vennero successivamente raggiunti dagli ufficiali Derek Michael Chauvin e Tou Hao. Alle 20.19, in piedi sul lato del passeggero del veicolo, Chauvin trascinò Floyd attraverso il sedile posteriore, dal lato del conducente al lato del passeggero, e fuori dalla macchina, facendo cadere George Floyd a terra. Giaceva così sul marciapiede, a faccia in giù, ancora ammanettato.
Sempre Chauvin, in seguito, premette il ginocchio sul collo di George Floyd e, sebbene quest’ultimo avesse ripetuto più volte di non riuscire a respirare (“Please, I can’t breathe! I’m about to die!”), la sua richiesta d’aiuto venne completamente ignorata.
ORE 20.25
George Floyd smise di muoversi, apparendo privo di conoscenza. Persino i passanti si confrontarono con gli ufficiali, esortandoli a controllare il polso della vittima.
Nel frattempo, anche l’ambulanza raggiunse il luogo della vicenda e, su richiesta dei paramedici, Chauvin sollevò il ginocchio dal collo di George Floyd sebbene quest’ultimo apparisse incosciente da oltre 3 minuti.
George Floyd venne successivamente condotto all’Hennepin County Medical Center, dove venne dichiarato morto.
Derek Chauvin: il poliziotto che ha ucciso George Floyd
In seguito all’omicidio di George Floyd, Derek Chauvin ha perso il posto all’interno del corpo di polizia di Minneapolis, in Minnesota ed è stato arrestato. Ma questo non è l’unico episodio di violenza in cui Derek Chauvin ha interpretato il ruolo del carnefice. In particolare, l’ex poliziotto, nel corso della sua carriera, è stato denunciato 18 volte per violenze commesse in divisa.
KRISTOFER BERG E LA DENUNCIA CONTRO DEREK CHAUVIN
Tra gli individui che avevano sporto denuncia vi è anche Kristofer Berg. All’epoca, quest’ultimo aveva 17 anni. La vicenda fece tanto scalpore negli U.S.A in quanto Chauvin gli puntò un’arma contro perché, al ritorno da scuola, il diciassettenne stava giocando con un’arma giocattolo Nerf. L’oggetto non poteva in alcun modo apparire come un’arma vera e propria. Uno degli amici di Berg, in auto, aveva esploso un colpo. In particolare, un dardo di gomma, che al massimo avrebbe potuto arrecare ferite a un occhio. Quando accostò a casa, Kristofer Berg si ritrovò di fronte a Derek Chauvin, intento a puntargli contro la pistola d’ordinanza.
Derek Chauvin, insieme ai colleghi, decisero di puntare le armi contro Kristofer e gli amici, pur essendo a conoscenza che il proiettile apparteneva a un giocattolo e nient’altro.
La polizia chiuse il caso affermando che Kristofer Berg e gli amici stavano cercando di eludere gli agenti. Lo stesso Berg, però, ha sempre smentito tale versione dei fatti.
UCCISO PERCHÉ AFROAMERICANO
L’America e il razzismo mai risolto
George Floyd è stato ucciso dal poliziotto Derek Chauvin per asfissia a Minneapolis, in Minnesota. Ma Floyd non è il primo della lista di afroamericani uccisi da poliziotti bianchi.
Tra le vittime di razzismo, di cui ora fa parte anche George Floyd, ricordiamo:
- Trayvon Martin, 17 anni, ucciso da un vigilante perché sospetto in Florida, nel 2012;
- Mike Brown, 18 anni, ucciso da un poliziotto bianco (mai incriminato) a Ferguson, in Ohio, 2014;
- Eric Garner, 43 anni, cerca di vendere illegalmente sigarette a Staten Island. In seguito, viene fermato da due poliziotti. L’agente Daniel Pantaleo lo blocca, sbattendolo a terra. Fa pressione sul collo di Eric Garner per diversi istanti. Esattamente come George Floyd, Garner chiede all’agente di fermarsi in quanto non riesce a respirare. Anch’egli muore dopo alcuni minuti. Anche Pantaleo non viene incriminato per omicidio. Tutto ciò, accadeva a New York, nel 2014.
LE PAROLE DI RICCARDO NOURY, PORTAVOCE DI AMNESTY INTERNATIONAL ITALIA
Chiaramente, gli ufficiali coinvolti nella morte di George Floyd a Minneapolis sono stati licenziati, ma la perdita del loro posto di lavoro non può essere considerata come una vera e propria forma di giustizia.
Come spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: “Vi sono due cause storie e una contemporanea in cui va inquadrato questo omicidio”.
PRIMA RAGIONE STORICA
“La prima ragione storica è che in tutti gli Stati Uniti mancano norme sull’uso della forza che siano conformi alle regole internazionali. L’uso della forza letale, infatti, è previsto solo come ultima risorsa e in presenza di una minaccia immediata per la vita di altre persone. E no, questo non era il caso di George Floyd”.
Gli episodi violenti di uso di forza eccessiva, soprattutto e anche nei confronti degli afroamericani, purtroppo, non sono rari. La causa è da attribuire alla mancanza di norme coerenti. Inevitabilmente, ci si ritrova poi a parlare di “abuso di potere”, e dunque di un qualcosa che sfocia nel campo dell’illegalità.
“La polizia commette violazioni dei diritti umani a un ritmo incredibilmente frequente, in particolare contro le minoranze razziali ed etniche, e in particolare nei confronti degli afroamericani. Solo nel 2019, la polizia è stata coinvolta nella morte di oltre mille persone negli Stati Uniti”.
SECONDA STAGIONE STORICA: “RACIAL PROFILING”
“La seconda ragione storica non è altro che la “profilazione razziale”. È un fenomeno da sempre presente nel corpo di polizia statunitense che non si riesce a sradicare. Il “Racial Profiling” si riferisce al peso decisivo di fattori razziali o etnici nel determinare l’azione portata da parte delle forze dell’ordine nei confronti di un individuo. Qualche esempio: una persona bianca che ha le mani in tasca ha freddo, se ad avere le mani in tasca è una persona di colore allora sta nascondendo una pistola.O ancora una persona bianca che corre sull’autostrada è in ritardo a una riunione di lavoro. Se a correre invece è una persona di colore sta fuggendo dopo aver compiuto una rapina. C’è molto lavoro da fare sui singoli Stati, bisogna formare le forze di polizia. La popolazione infatti ha perso fiducia nei tutori dell’ordine che vede al contrario come promotori del disordine”.
TERZA RAGIONE STORICA
Riccardo Noury, in merito alla vicenda che coinvolge George Floyd e Derek Chauvin a Minneapolis, si riferisce a una terza ragione storica per cui, all’interno dei corpi di polizia, le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno.
“C’è poi un terzo motivo contemporaneo e fortemente legato all’amministrazione politica del presidente Donald Trump. «La sua è una visione irresponsabile e incendiaria. È un incitamento alla violenza da parte delle forze dell’ordine e un ammiccamento continuo alla supremazia dei bianchi. Non da ultimo il suo tweet dove inserisce il movimento antifascista tra le organizzazioni terroristiche”.
LE STATISTICHE
A livello percentualistico, l’America è un paese che tende a non avvantaggiare le minoranze, motivo per cui – nascere neri in America significa avere meno possibilità in qualsiasi contesto.
Per quanto concerne le violenze, delle 1.146 e 1.097 vittime della polizia statunitense (tra il 2015 e il 2016), il 26% erano afroamericani. Un dato sconcertante.
Un uomo nero, nella fascia d’età tra i 15 ei 34 anni ha una probabilità di essere ucciso coetaneo bianco tra le 9 e le 16 volte maggiore rispetto a un coetaneo bianco.
BLACK LIVES MATTER: “LE VITE NERE CONTANO”
Black Lives Matter è un movimento attivista che nasce nel 2015. Numerosi individui di diverse origini e nazionalità od orientamento sessuale (e quant’altro) aderiscono ad iniziative come il Black Lives Matter. E, nonostante ciò, l’America risulta essere ancora un paese profondamente razzista, in cui la violenza sulle comunità afroamericane è considerata ancora la normalità.
Nel luglio del 2013 a Sanford, in Florida, George Zimmerman (29 anni), venne prosciolto dall’accusa di omicidio nei confronti del 17enne Trayvon Martin, ucciso con un’arma da fuoco nel febbraio del 2012. La legge del 2005 della Florida, denominata “Stand Your Ground”, dà il diritto di utilizzare le armi da fuoco se la situazione, dal pubblico ufficiale, viene reputata pericolosa. Ecco perché Zimmerman non viene condannato: per “legittima difesa”.
Ma l’opinione pubblica, contrariata, si fa sentire. In particolare, tre donne afroamericane, lanciano su Twitter l’hashtag di Black Lives Matter. Da qui, l’inizio del movimento attivista.
BLACK LIVES MATTER SI DIFFONDE SUI SOCIAL MEDIA
Gli individui in tutto il mondo fanno in modo che il movimento Black Lives Matter si diffonde online, con lo scopo di fare luce sulle disparità di trattamento e le discriminazioni razziali subite dalla comunità nera da sempre, costantemente.
È nel 2014 che il Black Lives Matter sfonda i confini online e raggiunge le strade di diverse città, quando anche gli omicidi di Eric Garner e di Michael Brown Jr fanno esplodere violentissime proteste da parte delle comunità afroamericane (e non solo).
IL BLACK LIVES MATTER UNISCE TUTTI
Il Black Lives Matter è uno di quei movimenti attivisti che coinvolge – non solo le comunità afroamericane, ma tutti quegli individui che rincorrono costantemente la parità dei sessi e l’eguaglianza sociale. Parliamo di transgender, bisessuali, gay, persone bianche e persone nere. Tutti si riuniscono e formano una squadra, con la speranza che le loro proteste vengano prese in considerazione. Con la speranza che la crudeltà umana cessi di esistere o – per lo meno, che diminuisca.
Anche personaggi pubblici, dello spettacolo, del cinema e della moda hanno manifestato e hanno dato il loro sostegno alla comunità afroamericana.
Sono molti gli individui che sono scesi in strada con le proprie mascherine con su scritto “Please, I can’t breathe”, frase di George Floyd poco prima che morisse.
Blackout tuesday: cinema, musica e mondo dello spettacolo si fermano
Oltre al movimento Black Lives Matter, riportato sulle strade americane e sui social da tutto il mondo in seguito all’uccisione di George Floyd a Minneapolis, è nato spontaneamente anche il Blackout Tuesday. Si tratta proprio di un martedì di blackout di tutti i canali social, da parte di cantanti, attori, attrici, pagine Instagram, pagine facebook e tutto ciò che concerne il mondo di Internet.
Così, Elton John, Lana Del Rey, Ariana Grande, Dior, Billie Eilish, Vera Wang, Zara, Lauren Jauregui e tantissimi altri – postano storie e immagini completamente nere, in rispetto alla morte di George Floyd e a tutti quegli uomini e quelle donne uccise e incolpate inutilmente in quanto afroamericani. L’obiettivo è quello di mettersi da parte per un giorno, lasciando spazio alla riflessione e alla bontà d’animo che spesso manca nel mondo.
Anche moltissime case discografiche, come la Interscope, Sony Music, Universal Music Group, Columbia Records e altre aderiscono all’iniziativa.
Così come gli stessi canali social, come Spotify.
Al Black Out Tuesday aderiscono anche attori e cantanti italiani
Ad aderire al progetto Black Out Tuesday nato spontaneamente in seguito alla morte di George Floyd sono anche cantanti e artisti italiani. Tra questi, troviamo Marco Mengoni, Alessandra Amoroso, Emma Marrone, Zucchero, Biagio Antonacci, Francesco Gabbani, Ghali, Elisa, J-Ax, Laura Pausini, Fedez e la moglie Chiara Ferragni.
Conclusione
Ciò che ancora non si è compreso, è che l’eguaglianza sociale non dovrebbe essere una scelta da prendere in considerazione. Centinaia di afroamericani, così come transgender, gay, bisessuali (e non solo) hanno avuto a che fare almeno una volta con la discriminazione, subendola personalmente. Ciò che è essenziale comprendere è che un uomo di origini afroamericane non vale meno rispetto ad un uomo bianco. Nel mondo, ogni individuo ha la propria storia, la propria personalità, le proprie opinioni, ed è giusto rispettarle. Nessuno dovrebbe scegliere il destino della vita di un altro. Nessuno dovrebbe imporre il proprio modo di essere o le proprie convinzioni.
Affinché George Floyd abbia giustizia, Chiara Ferragni condivide sul suo profilo Instagram una petizione da firmare. Il link: https://www.change.org/p/giustizia-per-george-floyd
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