Rita Levi Montalcini: chi è la neurologa che ha vinto il Premio Nobel

Se pensiamo ai nomi che hanno reso grande il nostro Paese, ci viene subito in mente quello di una donna ineguagliabile: Rita Levi Montalcini. Nata a Torino nel 1909, Rita Levi Montalcini ha vissuto sulla propria pelle le vicissitudini di un secolo denso di storia.
I suoi genitori, coltissimi, prestano grande attenzione all’istruzione dei figli, ma, d’altro canto, la loro mentalità è strettamente vittoriana. Questo significa che, ai loro occhi, la donna ha il compito di dedicarsi al marito e ai figli, non alla carriera. Dall’altro lato, le origini ebraiche della famiglia la pongono di fronte ad una difficoltà ben più grande, quella delle persecuzioni razziali. Una lotta su più fronti, quella di Rita Levi Montalcini, che ha saputo trasformare i propri ostacoli in punti di forza. In un’intervista del 2009, in occasione del suo centesimo compleanno, lei stessa afferma:
“Quello che apparentemente era contro, è diventato il mio bene. Essere dichiarata di razza inferiore, Hitler, Mussolini… è stata una grande fortuna. Ho potuto lavorare in camera da letto, questo mi ha portato a Stoccolma tre decenni dopo.”
RITA LEVI MONTALCINI:
- GLI STUDI E LA MEDICINA
- LE PERSECUZIONI RAZZIALI
- IL TRASFERIMENTO IN AMERICA
- IL RITORNO IN ITALIA E I RICONOSCIMENTI DELLO STATO
- IL PREMIO NOBEL: PERCHÉ LA PROTEINA NGF È RIVOLUZIONARIA
- L’ASSEGNAZIONE DEL PREMIO NOBEL E NON SOLO
- UNA DONNA CHE CREDE NELLE DONNE
- UNA DONNA DETERMINATA E IL SUO MESSAGGIO

GLI STUDI E LA MEDICINA
Rita Levi Montalcini inizia gli studi, come le sorelle, presso la scuola locale femminile. Questa formazione, voluta dal padre, si basa sull’idea di mantenere una distinzione tra il ruolo dell’uomo e della donna. Al termine di questo percorso, la giovane attraversa un periodo d’incertezza riguardo il proprio futuro.
Nel 1930, Rita Levi Montalcini affronta il decesso dell’amata governante di famiglia, malata di cancro. Forse suggestionata da questo triste evento, la giovane decide di iscriversi alla facoltà di Medicina presso l’Università di Torino. Il padre contrasta inizialmente a questa scelta, convinto che gli studi di medicina non siano compatibili col ruolo di moglie e madre destinato alla donna. Lei stessa dichiara:
“Alla donna, da bambina, nell’era vittoriana, si insegnava a essere graziosa e gentile. Che ingiustizia! Ne ho sofferto moltissimo”.
Alla fine Rita Levi Montalcini vince l’opposizione del padre e riesce ad intraprendere la strada da lei scelta. Durante questa fase degli studi inizia subito ad interessarsi alle neuroscienze. All’università segue infatti i corsi di Giuseppe Levi, uno fra i primi italiani a studiare le cellule del tessuto nervoso. Tra i suoi compagni universitari compaiono altri due Premi Nobel: Renato Dulbecco e Salvatore Luria. In questo ambiente altamente stimolante, la Montalcini nel 1936 consegue la laurea in Medicina con 110 e lode.
LE PERSECUZIONI RAZZIALI
Le leggi razziali vengono proclamate nel 1938, due anni dopo la laurea in medicina della Montalcini. In quel contesto non avrebbe quindi potuto continuare il proprio percorso universitario, in quanto ebrea. Rita Levi Montalcini, specializzanda in Psichiatria e Neurologia, è quindi costretta ad interrompere gli studi e fuggire in Belgio. Qui riesce a continuare i propri studi sul differenziamento del sistema nervoso, all’istituto di neurologia dell’Università di Bruxelles.
L’invasione tedesca del Belgio del 1940 la costringe tuttavia ad abbandonare questa sede e tornare a Torino. Di nuovo in Italia, la scienziata riesce comunque a e costruire un laboratorio casalingo nella sua camera da letto e portare avanti le proprie ricerche. Gli studi che svolge in questo ambiente riguardano gli effetti dei fattori generici e ambientali nella differenziazione dei centri nervosi.
Il bombardamento di Torino del 1941 e l’invasione dell’Italia del 1943 costringono però l’itera famiglia Levi Montalcini a cercare rifugio altrove. La scienziata riesce a rimanere nascosta a Firenze fino al 1944, quando si arruola come medico del Quartier Generale anglo-americano, dopo la liberazione della città. Sono gli esponenti della Resistenza a portarla a Firenze si prende anche cura dei rifugiati politici e degli ebrei fuggiti dal Nord occupato dai nazisti.
IL TRASFERIMENTO IN AMERICA
Nel 1947 la Montalcini, su invito del neuroembriologo Viktor Hamburger, sposta la sua attività scientifica negli USA, alla Washington University di Saint Louis. È proprio qui che nel 1954 scopre la proteina NGF (Nerve Growth Factor), grazie alla quale ottiene il premio Nobel, nel 1986, dopo trentadue anni.
Prima di giungere a questa scoperta, la Montalcini lavora per comprendere le relazioni tra il neurosviluppo e la periferia organica. Da queste ricerche, arriva ad ipotizzare l’esistenza di un fattore in grado di favorire la crescita nervosa. Questa tesi, presentata alla New York Academy of Sciences, desta l’interesse della comunità scientifica. La Montalcini è quindi invitata a trascorre un periodo in Brasile, per dedicarsi agli esperimenti di cultura in vitro, all’Istituto di Biofisica dell’Università di Rio de Janeiro. In realtà è qui che la Montalcini individua il fattore NGF, ma solo più tardi, a Saint Luis, ne effettua la prima caratterizzazione biochimica. Nel 1958 diventa inoltre professoressa ordinaria di zoologia proprio alla Washington University di Saint Louis.

IL RITORNO IN ITALIA E I RICONOSCIMENTI DELLO STATO
Qualche anno più avanti, nel 1969, Rita Levi Montalcini torna poi definitivamente in Italia. Nel nostro Paese viene eletta direttrice dell’Istituto di Biologia Cellulare del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e poi dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana. La Montalcini diventa inoltre membro delle più importanti accademie scientifiche ed è la prima donna ammessa alla Pontificia Accademia delle Scienze.
La scienziata diventa anche presidentessa della Fondazione Rita Levi-Montalcini, fondata in memoria del padre. Si tratta di una Onlus che si rivolge alla formazione dei giovani e finanzia delle borse di studio per l’istruzione delle donne africane.
Nel 2001 la Montalcini viene anche onorata della carica di Senatrice a vita dall’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Un anno più tardi, nel 2002, la scienziata fonda l’EBRI (European Brain Research Institute), di cui aveva presentato la proposta alla conferenza di Confindustria a Cernobbio del 2001. Questo istituto nasce con l’obiettivo di studiare tutti gli aspetti del cervello ed è la Montalcini stessa a dirigerlo fino al 2012, anno della sua scomparsa.

RITA LEVI MONTALCINI E IL PREMIO NOBEL: PERCHÉ LA PROTEINA NGF È RIVOLUZIONARIA
La proteina individuata da Rita Levi Montalcini, affiancata dal biochimico Stanley Cohen, ha la capacità di modificare lo sviluppo di alcune cellule nervose. Con le sue ricerche la Montalcini ha osservato che le cellule a cui viene somministrata la proteina NGF vengono sconvolte nel loro comportamento.
In particolare i due scienziati vedono che, iniettando la proteina in una provetta contenente delle cellule nervose, queste ottengono uno sviluppo straordinario in appena ventiquattr’ore. Questo spiega per la prima volta come mai, da una sola cellula, possa svilupparsi un essere vivente.
Fino ad allora il sistema nervoso era considerato qualcosa di statico, mentre questa scoperta dimostra l’esatto contrario, andando contro i dogmi del tempo. Si capisce che poche molecole di questa proteina, inoculate in una precisa zona del corpo, permettono lo sviluppo delle cellule nervose necessarie al suo funzionamento. Si è poi scoperto che la proteina NGF agisce anche sui sistemi emotivi e cognitivi del cervello e ciò ha mosso l’interesse della comunità scientifica.
Questa molecola è presente in piccole quantità, che possono ridursi ulteriormente col tempo, provocando malattie come l’Alzheimer. Ad oggi le sue applicazioni più promettenti sono infatti legate alla cura di questo problema neurologico. Un altro possibile impiego potrebbe essere legato alla terapia della sclerosi multipla e della SLA. La sua ricerca ha inoltre avuto un ruolo fondamentale per la comprensione dei tumori.
L’NGF è stata definita, inoltre, la “molecola degli innamorati”: i livelli di questa proteina sono più alti nelle fasi iniziali dell’innamoramento e nelle coppie. Lo ha dimostrato una ricerca dell’università di Pavia, questo ci fa capire che si può parlare di una biochimica dell’amore.
L’ASSEGNAZIONE DEL PREMIO NOBEL E NON SOLO
Già nel 1963 la Montalcini riceve il Premio Max Weinstein per il suo contributo in ambito neurologico: è la prima donna ad ottenere questo riconoscimento. Questo è, tuttavia, solo il primo di una lunga serie di titoli, che la portano fino al Premio Nobel. Racconta così il giorno in cui scopre di aver ottenuto il Premio:
“Erano circa le 11 e stavo leggendo un giallo di Agata Christie quando arrivò la telefonata da Stoccolma”.
È il 10 dicembre 1986 e fra le motivazioni per cui le è stato assegnato il Premio Nobel, si legge:
“La scoperta dell’NGF all’inizio degli anni cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell’organismo.”
Il Premio Nobel non cambia il suo modo di lavorare: il suo obiettivo primario resta la scienza. Allo stesso tempo, Rita Levi Montalcini si dedica ad opere di beneficenza, anche a favore dei giovani studiosi di neurobiologia. Parte del denaro ottenuto con il Nobel viene, inoltre, impiegata per la costruzione della nuova sinagoga di Roma.
Nel 1987 Rita Levi Montalcini riceve anche la National Medal of Science. È l’allora Presidente Ronald Reagan a conferirle la più alta onorificenza scientifica degli Stati Uniti.

UNA DONNA CHE CREDE NELLE DONNE
Torniamo, però, a parlare della figura di Rita Levi Montalcini come donna. Le sue scelte e il suo percorso ci lasciano infatti un’eredità scientifica, ma anche morale e il suo messaggio spesso si rivolge alle donne. Nei primi decenni del Novecento, come lei stessa afferma, la donna era un oggetto di lusso, nel migliore dei casi: una disparità derivata dalla forza fisica, non mentale. La Montalcini, scegliendo di studiare medicina e di dedicarsi alla propria carriera, va contro i dogmi del tempo e il volere della sua famiglia. Il padre, infatti, non era d’accordo con le sue scelte, considerava difficile poter conciliare la vita lavorativa con il ruolo di madre e di moglie.
UNA DONNA DETERMINATA E IL SUO MESSAGGIO
Nonostante l’affetto nei confronti della famiglia, a cui resta legatissima, Rita Levi Montalcini sceglie però di andare fino in fondo nelle sue scelte. Continua, quindi, a dedicarsi alla ricerca e decide deliberatamente di non diventare né moglie né madre, semplicemente perché non erano queste le sue esigenze. Non era da poco contestare un padre dell’epoca vittoriana: questa presa di posizione è qualcosa di estremamente forte e denota una determinazione difficile da eguagliare.
Anche nell’ambito della scienza lotta per ottenere la parità fra donne e uomini. Le possibilità della mente maschile e femminile sono le stesse, sostiene, solo con approcci differenti.
La sua posizione è così insolita, racconta, che alle conferenze negli USA viene detto “Lady (al singolare) and gentlemen”, perché l’unica donna è la Montalcini. Proprio questi fatti dimostrano che la sua storia vuole lasciare un’eredità morale, oltre che scientifica, molto forte. Alla base di questa vita che ha lasciato il segno, ci sono i valori etici e morali che la sua famiglia ha saputo trasmetterle. Il messaggio che lei stessa vuole lasciare ai giovani è proprio questo:
“Credere nei valori morali, etici. Mai dimenticare! La vita non vale niente se uno non crede nei valori, che sono valori di carattere etico”.