Mal d’Africa: cos’è e come guarire dal sentimento che accomuna tanti viaggiatori
Lo cantava anche Franco Battiato: “è come un mal d’Africa”, ripeteva, per fare una analogia con la sua nostalgia dei tempi della sua giovinezza e la sua voglia di rivivere quei momenti.
È proprio questo il Mal d’Africa: un sentimento di nostalgia, una malinconia generale e insofferenza, seguita dalla voglia di ritornare in quelle terre. Quella sensazione che attanaglia lo stomaco, e fa pensare “perché sono di nuovo qui, quando dovrei essere là?” E il “là” è la vasta, selvaggia, dura, ricca, materna Africa.
Questo sentimento, questa “sindrome”, è talmente tanto diffuso tra i viaggiatori, che esiste addirittura una pagina su Wikipedia!
Tuttavia, sarebbe impossibile descrivere nel preciso cosa realmente si prova, poiché ognuno sperimenta sensazioni ed esperienze completamente diverse. Sarebbe come pretendere di farsi spiegare cosa si prova dopo la rottura con il più grande amore e cercare di immedesimarsi nell’esperienza e nei sentimenti di qualcun altro.
Insomma, per poter capire a pieno il Mal d’Africa, l’unico modo è partire per l’amato continente, innamorarsene (cosa che accadrà inevitabilmente) e ritornare alla tua vita di prima.
Una domanda poi vi sorgerà spontanea: bene, e ora come guarire dal Mal d’Africa?
Anche qui, ognuno ha il suo metodo, ovviamente. E molti viaggiatori, se lo chiederete, risponderanno che in realtà non si guarisce mai. Ci si convive, finché non si ritorna in quell’angolo di mondo vastissimo e primordiale.
Tre diverse Afriche ma lo stesso Mal d’Africa
Il continente africano è davvero vasto e sconfinato, ogni stato così diverso l’uno dall’altro. Nonostante questo, chi visita anche solo un territorio africano, riesce ad innamorarsene e rimanerne legato per sempre.
A questo proposito, i viaggiatori suddividono l’Africa in tre fette:
- Nord Africa
- Sud Africa
- Africa Nera
La prima, il Nord Africa, è considerata una zona ponte tra il continente africano e quello europeo. Alcuni luoghi come Marocco, Egitto, Tunisia, hanno similitudini con l’Europa: città avanzate e moderne, ad esempio.
Poi il Sud Africa, uno stato logorato dalle disparità e dagli scontri razziali. Qui vi è una forte immigrazione, soprattutto olandese, rendendo questa zona un territorio a sé stante.
E infine c’è l’Africa centrale, o Africa Nera. La terra che più viene ricondotta a quell’immaginario primordiale, fatto di luoghi desertici, animali liberi, natura incontaminata, villaggi primitivi, culture radicate, danze magiche, suoni e colori che dominano gli animi.
Niente e nessun altro posto è come l’Africa Nera.
Ad ogni modo, che voi andiate a Nairobi o nei borghi di Johannesburg, nei deserti del Sahara o nelle coste della Tanzania, tornerete a casa cambiati. Tutto vi apparrà in modo completamente diverso. Avrete ampliato e stravolto i vostri orizzonti. E questo di certo è il beneficio più bello del viaggio.
Tuttavia, avrete sempre quella stretta allo stomaco a ricordare i vostri momenti africani. Perché l’Africa avvolge la mente e apre gli occhi. L’Africa è la definizione di vita stessa.
Come un déjà vu
Ma perché il Mal d’Africa è così diffuso? Viviamo tutti esperienze molto diverse, in modo completamente differente. Eppure, questo sentimento di malinconia affligge moltissime persone che fanno visita in questo continente.
Uno stato d’animo speciale che accomuna tantissimi viaggiatori.
Molti, quando visitano un posto lontano da casa, arrivano a dire di aver trovato una nuova casa. Un luogo che sentiamo ci appartiene più del posto in cui siamo nati. Alcuni che hanno la fortuna di visitare l’Africa, tuttavia, sostengono sia qualcosa ancora più di questo. L’Africa è un luogo che sentono di poter chiamare “casa”, ma è anche dove sentono che tutto è iniziato.
C’è chi lo sente per una vita intera, il richiamo verso quelle terre, e chi lo sente una volta che ha posato per la prima volta i piedi in quei luoghi così antichi. Un ritorno alle origini. Un ricongiungimento con le proprie, di origini, perché è proprio quel continente così lontano che a tutti noi ha permesso la vita.
L’Africa è una realtà completamente diversa per chi, come noi, vive in un paese occidentale, moderno e civilizzato. Si viene catapultati, a volte, in villaggi agli antipodi del concetto di modernità.
Sentirsi spaesati, sarebbe comprensibile. Eppure, i viaggiatori sperimentano tutt’altro. Come detto prima, la gioia nell’essere in questi posti prevale. Come un déjà vu: non si è mai stati in Africa, ma si ha la sensazione di conoscerla già. Vi ritrovate a camminare tra le bancherelle di mercati all’aperto, con i colori e i profumi radiosi e travolgenti, e tutto questo, già faceva parte di voi. Visitate le distese di terra rossa e brulla, o oasi lussureggianti, città chiassose e ricolme di gente: siete ritornati a casa.
La spiegazione antropologica
Esiste una spiegazione antropologica, sembra, che chiarisce il motivo di questa dolce malattia.
Qualche milione di anni fa, l’Africa è stata la nostra culla ancestrale. Qui una speciale specie di scimmie si sono evolute, e nel corso del tempo, hanno preso sembianza sempre più simili a quelle che abbiamo ora.
Abbiamo visto i nostri primi passi evolutivi proprio in Africa, per poi espanderci in tutto il mondo e adattarci a nuovi ambienti e continuare quel processo evolutivo inarrestabile.
Ma è proprio l’Africa, il luogo che ci accomuna tutti quanti noi cittadini del mondo, da nord a sud, da est a ovest.
Più precisamente, è nella zona della Rift Valley che tutto ha avuto inizio. Una zona che si trova a cavallo tra Etiopia e Tanzania.
Per quanto viviamo in paesi civilizzati, nella modernità, nella comodità, nella ricchezza e nella sicurezza, in noi prevalgono ancora tantissimi istinti, gli stessi che avevamo milioni di anni fa.
L’africa risveglia in noi la voglia di esplorare terre selvagge, riconnetterci con la nostra parte primitiva, scoprire noi stessi.
Esperienze diverse, stesso sentimento
Jane Goodall si presta bene come esempio per capire quanto l’Africa attiri a sé persone di ogni tipo e origine. Jane è una etologa, antropologa e primatologa famosa per essere partita negli anni ’60 per studiare gli scimpanzé in Africa, vivendo a stretto contatto con la natura e gli scimpanzé stessi, divenendo una di loro. Non aveva nessuna conoscenza su questi animali, nessuna base scientifica, se non l’amore inspiegabile per questa terra e la voglia di fare “ritorno”, anche se, dalla sua città natale in Inghilterra, mai aveva visto questi luoghi se non in foto.
Ha scritto un libro per raccontare la sua esperienza, intitolato “Africa in my blood”, “Africa nel mio sangue”. Una frase meravigliosa che ben rispecchia il richiamo africano è “I am living in the Africa I have always longed for, always felt stirring in my blood”, ovvero “Vivo nell’Africa a cui ho sempre appartenuto, che ho sempre sentito scorrere nel mio sangue”.
Per chi fosse interessato, esiste un meraviglioso documentario sulla vita di Jane Goodall in Africa, formato da filmati inediti delle sue spedizioni. Potete vederlo a questo link. Proprio in questo film, che parla anche dei suoi ritorni in Inghilterra tra una spedizione e l’altra (non fu mai facile per lei ricevere fondi per continuare il progetto, specialmente perché non conseguì mai la laurea). Jane racconta di questo malessere nel ritornare alla vita “normale” in Inghilterra, con il marito, con il lavoro da segretaria. Un senso di inadeguatezza, riconducibile al mal d’Africa.
COM’È GUARITA DAL MAL D’AFRICA?
È tornata in Africa! La sua vita, la sua felicità, era tutta là. Nessuno e nessun luogo avrebbe potuto farla sentire meglio.
Un’esperienza diversa, invece, l’ha vissuta Barbara, viaggiatrice che racconta le sue avventure, i suoi sentimenti e le sue riflessioni nel blog Viaggiare a Piedi Scalzi. Barbara ha visitato tanti posti magici, innamorandosene.
Uno dei tanti luoghi a cui sente di appartenere, è proprio il Marocco. A proposito ha scritto un bell’articolo nel suo blog, che spiega il suo mal d’Africa, o meglio, il suo mal di Nord Africa (e come sopravvivere).
Il Marocco le ha lasciato tanto dentro, l’ha formata. L’ha resa la persona che è oggi, ha tirato fuori la parte selvaggia che era in lei. Il coraggio di prendere decisioni, di difendersi, di prendersi cura di sé, di camminare a mento alto, di essere coraggiosa. Tutto questo glielo ha regalato il Marocco, un po’ come un souvenir, per ricordarle quanto le ha donato. Per ricordarle di tornare, ogni tanto, perché la sua casa è anche là.
COSÌ BARBARA CONVIVE CON LA SUA NOSTALGIA
“Allora, così ci sopravvivo, al mal di Nord
Africa:
con un impacco di erbe miste sconosciute, mischiate a infuso di camomilla,
yogurt e olio di cipolla per la crescita dei capelli.
Con un libro di disegni da colorare
con una cena a base di wurstel e patatine fritte, poi da domani si torna a
zuppe di legumi e verdurine
con un progetto nuovo, anzi due, forse tre: perché so di essere capace.
Non ero così sfrontata prima, non ero così diretta né
coraggiosa.
Non alzavo la voce, non troncavo i rapporti, non mi buttavo davvero.
E adesso?
Adesso cosa fai?
Lo prendi il rischio di tornare?”
CONCLUSIONE
Non esiste insomma una vera cura al mal d’Africa. È un sentimento troppo forte e troppo vivo da uccidere. Vivrà con voi e vi farà compagnia quando vedrete le bancherelle di abiti esotici che avrete visto in quel viaggio lontano da lì 6000 km, o qualcuno parlare quella lingua che per qualche tempo avevate sentito martellarvi le orecchie nelle strade.
Guarire non si può, ma una soluzione c’è sempre, e quella la sapete già: tornare.