Il paziente più grave ai tempi del coronavirus
Lentamente muore…recitava la poesia di Martha Medeiros, nella sua “Ode alla Vita”. Mai come oggi, queste parole risultano assonanti con quello che stiamo vivendo tutti. Come missili gettati da altre galassie, su un paziente malandato ed infettato da parassiti chiamati semplicemente “esseri umani”. Colpa di una madre troppo buona? O di un Dio troppo clemente? Siamo in guerra ormai. Una guerra contro l’incoscienza di aver osato sfidare troppo la natura. Una guerra contro le leggi divine.
Lentamente si muore, iniziando dai sensi: cecità nel vedere ciò che conta davvero nella vita, parestesia nel percepire il vento che sfiora le nostre gote, anosmia nel filtrare gli odori di altri popoli, ageusia nel gustare i sapori di un tempo che non può mai fermarsi e sordità nell’ascoltare il pianto disperato di un pianeta ferito e tradito. Così lentamente il mondo muore. E’ già molto malato. E’ il paziente più grave. Ti sei ammalato Mondo e con te, ci siamo ammalati anche noi. Ammalati ma anche guariti. Mentre si stagna in un surrogato di vita, a metà strada tra gli inferi e il purgatorio. Siamo diventati zombie? No, siamo solamente tanto forti, quanti fragili.
E’ tutto un brutto incantesimo autoindotto, che nella mia mente esisteva unicamente da bambina, quando “La Bella Addormentata nel Bosco” pungendosi con un fuso, mi faceva carpire quanto potessero essere gravi le conseguenze degli errori fatti, volontariamente o no. E mentre il tempo improvvisamente si congela, si fermano strade, città, nazioni ed interi continenti e tutto sembra avere un senso più che mai. Tutto sembra avere un gusto mai assaporato prima, mai neanche lontanamente immaginato.
Si può morire stando fermi? No. Eravano morti prima. Eravano morti con la frenesia di una società arrivista ed eternamente insoddisfatta, come un bambino capriccioso che mai sarà capace di sorridere e di godere appieno dei piaceri della vita. Eravano già morti quando il più delle volte un “come stai?”, era un semplice modo di dire, in attesa di un “bene” scontato e banale più che mai. Oggi un “come stai?” significa davvero “COME STAI” e tutte le volte che lo si chiede, il cuore batte a mille in attesa di una risposta positiva.
Eravamo morti quando i vicini neanche li salutavamo, neanche li conoscevamo. Mentre ora, accendiamo la lucina del cellulare per salutarci e cantiamo tutti insieme la nostra Bella Italia. Eravano morti quando, presi da attacchi spasmodici di esterofilia, programmavamo le vacanze nei posti più disparati del globo, senza neanche considerare minimamente, la nostra Amata Italia.
L’Italia, il paese più bello del mondo e gli italiani, il mio popolo, il mio DNA.
E pensare che un tempo non molto lontano, ma che sembra distante anni luce ormai, non volevamo fermarci per paura di morire. Ora che siamo stati costretti a metterci a nudo con noi stessi e con tutte le nostre debolezze, abbiamo capito che i supereroi esistono solamente nelle riviste di fumetti o nei film americani e che di fronte all’iraconda forza della natura, siamo tutti dei microscopici esseri, tanto importanti quanto inutili. Il nostro Mondo si è ammalato per farci capire che eravamo ammalati tutti noi già da tempo. Ci ha regalato un paio di occhiali nuovi di zecca, per guardare il mondo con due belle lenti, in grado di correggere anche le miopie più severe.
Ricorderemo questo nemico invisibile come il virus che ha fatto fermare il mondo intero. Un virus che ferisce, un virus che unisce. Un virus piombato come un razzo per puntarci una nuova sveglia. Un virus che è me, te, tutti. Capace in un solo secondo, di ribaltare tutte quelle certezze insite nella nostra mente, per renderci oggi più evoluti, saggi e nuovi. La terra ha tremato, bruciato, si è sporcata ed ha cercato di resistere, ma poi si è inginocchiata. Un corpo celeste sospeso nella Via Lattea in cancrena; così lo vedono i pianeti vicini, che si apprestano a cantare l’Inno Mondiale sperando che non sia troppo tardi. Ecco qui il paziente più grave, ai tempi del cornavirus.
Sale l’angoscia ogniqualvolta si ode la sirena delle ambulanze qui in città. Nelle corsie degli ospedali si combatte la Terza Guerra Mondiale, ormai da settimane. E’ notte e non si dorme. La gastralgia si fa sempre più insistente e penso che mi accompagnerà ormai fino alla fine di questa quarantena, portandosi via il retrogusto un po’ amarognolo e a tratti pseudoacidulo di una Primavera diversa da quella raccontata da Einaudi. Non è neanche come quella di Vivaldi, ora che ci penso.
Ho voglia di famiglia. Ho voglia di udire silenziosamente le vibrazioni che si generano col suono della voce della gente. Ho voglia di ombra per la presenza ravvicinata di qualcuno, senza dover più avere paura che il nemico invisibile sia in agguato. Ho voglia di assaporare il profumo di pelle di tutte le razze. Ho voglia di non dover guardare chiuque come fosse quello sbagliato, lercio e virulento, quando in realtà lo eravamo già prima, tutti noi.
Un virus per disinfettare? Un paradosso. Un virus asettico, per salvare ciò che resta di un pianeta violentato, sfruttato, stuprato e umiliato. Quasi quasi mi vergogno del Sole e della Luna… e delle Stelle che hanno potuto vedere le violenze inflitte contro una casetta accogliente, meravigliosamente innocente ed estremamente generosa. Guerre, genocidi, inquinamento, odio razziale, sessismo, contaminazioni, rifiuti tossici… Per cosa? Per un semplice errore dell’intelletto, che non riesce a distinguere ciò che conta da ciò che non porta nessun valore alla nostra esistenza.
Ora sei il paziente più grave e me ne vergogno. Ti chiediamo scusa per averti mortificata Terra e ti chiediamo scusa per averti infettata con i nostri pensieri nocivi che poi si sono inevitabilmente traformati, nelle menti più diaboliche, in azioni tossiche. Questa vita surreale che ci fa rimanere in bilico, sta sbrinando il ghiaccio che ricopriva il nostro cuore, curandoci l’anima e facendoci riscoprire tutti fratelli, tutti figli delle stelle che durante la notte, alzando gli occhi al cielo, pregustano lo stesso sogno, esprimento desideri di normalità. Una normalità tanto perfetta, quanto sottovalutata, perchè spesso paragonata ai modelli plastici ed artefatti dei social media. Normalità che il nostro patos rivendica con fervore, una normalità che presto avrà colori più fiammei.
Chiedo venia Mondo, affinchè tu possa salvarti se è ancora possibile e… tra l’attesa di scendere tutti per le strade per abbracciarci in mondo randomico, la voglia di una serata in pizzeria con gli amici e il desiderio di un tuffo nelle acque cristalline del Salento, mi godo già la libertà di queste quattro mura che possono isolarci fisicamente, ma non possono impedirci di sognare e viaggiare con la mente.
Perchè nonostante il discomfort attuale, la vita è un dono, il più grande. E ne dobbiamo essere grati, sempre. Essa va goduta e assaporata appieno anche ora, anche ora che stiamo scrivendo pagine di storia. Anche ora che stiamo facendo i conti con i nostri errori dovuti ad una malattia chiamata ignoranza, responsabile di averti fatto ammalare così gravemente, Mondo. Abbiamo dato per scontato troppe cose, inclusa la bellezza della normalità. Siamo stati incoscienti ed a tratti superficiali.
Mi devi promettere però che guarirai e andrai avanti e noi ti promettiamo che quando tutto questo terribile incubo finirà, ti tratteremo e ci tratteremo con più rispetto e reciprocità. E allora anche una passeggiata nel sole cociente di un pomeriggio d’estate, avrà il sapore di una zeppola di San Giuseppe.