Effetto placebo: cos’è, perché avviene e a cosa serve
È noto che qualsiasi rimedio farmacologico scientificamente dimostrato ha due effetti terapeutici: un effetto farmacologico vero e proprio, legato al principio attivo contenuto nel farmaco, e un effetto placebo, legato al fatto che l’idea di assumere una sostanza con potere curativo ha di per sé un potere curativo.
L’effetto placebo c’è sempre, ed è in genere molto rilevante e spesso più potente dell’effetto farmacologico in sé. È legato anche alla forma di somministrazione. Per esempio, una puntura è più efficace di un farmaco per bocca (anche qualora non si somministrasse nessun principio attivo), perché tendiamo a pensare che un’iniezione sia più efficace di una pillola. Già da queste poche righe si può intuire che ruolo giochi la psicologia in tutto ciò.
L’effetto placebo è dovuto al fatto che l’attesa di un miglioramento causa il rilascio nell’organismo di sostanze “terapeutiche”, come le endorfine e l’adenosina (antidolorifiche) o l’adrenalina (che permette di gestire meglio gli stress). Un elevato effetto “placebo” (e quindi terapeutico) hanno anche le carezze, la musica, la voce, le relazioni umane positive.
È per questa ragione che molti fruitori di medicine non convenzionali o di cure omeopatiche stanno meglio. L’effetto placebo è tanto più potente quanto più si è convinti che un rimedio funzionerà. Ma va sottolineato che il placebo (da solo) non può curare tutto! Ecco perché è sempre preferibile rivolgersi a degli esperti per prendersi cura della propria salute e del proprio benessere.
L’effetto terapeutico
Il placebo può anche produrre un certo effetto terapeutico, ma questo non dipende dalla sua attività biologica. Ad esempio, un paziente che assume un cucchiaio d’acqua zuccherata credendo che si tratti di uno sciroppo per la tosse può ottenere – per una sorta di auto-condizionamento – un beneficio terapeutico importante. In questo caso, anche se l’acqua zuccherata non cura in alcun modo la tosse, il convincimento che si tratti di un farmaco efficace innesca nel paziente un complesso di reazioni che lo aiutano a guarire dal disturbo. Questo risultato suggestivo è detto, appunto, effetto placebo.
L’effetto placebo è un fenomeno molto più comune di quanto si possa pensare; ad esempio, nelle patologie a rilevante componente psicosomatica – come emicrania, insonnia, colon irritabile, ansia e cefalea – la somministrazione di placebo determina un miglioramento della patologia fino all’80% dei casi. Minore, ma comunque importante, è il successo del placebo nelle affezioni organiche. Persino certi interventi chirurgici fittizi hanno dimostrato di produrre effetti benefici. Anche la chirurgia, quindi, con il suo grande carico emotivo, può costituire un potente placebo e dare risultati positivi indipendenti dall’atto chirurgico in sé.
Parliamo di placebo puro quando abbiamo una sostanza o forma di trattamento priva di effetto terapeutico intrinseco. Mentre si dice placebo impuro la sostanza o forma di trattamento che possiede un effetto terapeutico intrinseco, ma non sulla patologia specifica per la quale viene prescritto.
Biologia
L’effetto placebo non è soltanto una semplice risposta psicologica, ma una reazione biologica complessa.
Se dal punto di vista psicologico il paziente sottoposto a placebo reagisce positivamente alla terapia, il suo sistema nervoso, come abbiamo detto, libera specifiche sostanze endogene dalle proprietà auto-curative. Ma anche svariati neurotrasmettitori giocano un ruolo importante nella risposta al placebo. Lo stesso sistema immunitario è fortemente influenzato dallo stato psicologico del soggetto, per non parlare poi del cortisolo e di altri ormoni strettamente dipendenti dai livelli di stress.
Requisito irrinunciabile affinché l’effetto placebo si manifesti è l’autosuggestione (o la suggestionabilità) di chi lo assume. Il paziente, in altre parole, deve autoconvincersi che sta assumendo una cura efficace e riporvi fiducia, o perlomeno dev’essere indotto a crederlo dal medico che prescrive la cura. Prendiamo l’omeopatia ad esempio. Un farmaco omeopatico tende a funzionare molto bene in pazienti che hanno forte senso dell’ecologismo. Perché? Be’, si tratta di un metodo di cura naturale, il resto è presto detto. Ma anche un paziente che teme i pericoli di tossicità dei farmaci convenzionali avrà una risposta assai positiva all’omeopatia.
Già nel secondo secolo dopo Cristo, il medico greco Galeno aveva intuito che un medico guarisce meglio i pazienti quando questi hanno più fiducia nelle sue cure.
I fattori coinvolti
Numerosi sono i fattori che concorrono all’entità dell’effetto placebo. Ad esempio:
- Il condizionamento (legato a precedenti esperienze: per esempio sapere che quel medico ha guarito un amico aumenta l’effetto placebo);
- Due capsule sono più efficaci di una;
- Un placebo iniettabile è più efficace di uno orale;
- La compressa grande è più efficace della piccola;
- Colore della compressa, per esempio l’azzurro e il verde tenue aiutano in caso di ansia, depressione e disforia;
- Grado di scolarizzazione: i pazienti, i più scolarizzati e più autosufficienti, con elevata abitudine alla gestione delle responsabilità, risultavano maggiormente rispondenti al placebo;
- Componenti genetiche: secondo alcuni studi, la risposta al placebo sarebbe fortemente influenzata anche dall’assetto genetico di un individuo, da cui dipendono le vie dei neurotrasmettitori cerebrali capaci di indurre l’effetto placebo.
L’effetto nocebo
L’effetto nocebo, a differenza di quello placebo, fa riferimento alle pratiche terapeutiche che causano effetti negativi sulle patologie o sui sintomi connessi al di là dell’effettiva efficacia. Con questo termine, infatti, spesso si designano gli atteggiamenti ostili dei medici ma anche un rapporto scorretto tra medico e paziente i quali possono causare il mancato miglioramento a seguito di cure. Al contrario dell’effetto placebo, dunque, il nocebo si fonda sulla scarsa fiducia nei farmaci e nel personale medico. Esso è stato verificato mediante test e studi specifici.
È stato studiato che il meccanismo psicologico legato all’effetto nocebo sia piuttosto simile a quello del dolore e della modulazione che coinvolge due aree del sistema nervoso centrale tra cui la corteccia cerebrale e il midollo spinale.
In particolare, se un soggetto ritiene che una determinata cosa possa provocare molto dolore, queste strutture cerebrali che fungono da rete lasciano passare questa sensazione facendo percepire al soggetto interessato una sensazione dolorosa intensa. Se invece si pensa che si percepirà una sensazione dolorosa moderata allora queste strutture lasceranno passare una sensazione dolorosa più bassa. Sostanzialmente, come indicato da diversi studi scientifici, il meccanismo psicologico che si innesca nell’effetto nocebo, così come in quello placebo, è quello dell’aspettativa. Se un soggetto si aspetta che un farmaco non faccia effetto o non ripone fiducia nel medico, allora non avrà alcun miglioramento. Se lo stesso soggetto è convinto che il farmaco sia di buona qualità e che esso possa giovare alla sua salute, allora noterà dei miglioramenti.
Un esperimento al riguardo
Un curioso esperimento (riportato su ilfattoquotidiano) misurava la reazione di alcuni soggetti al caffè. A tre gruppi di persone è stato somministrato rispettivamente caffè normale, decaffeinato e decaffeinato presentato come normale (quindi mentendo, era caffè con caffeina). A tutti i soggetti sono stati misurati i parametri fisici (pressione, frequenza cardiaca…) e le reazioni (attenzione, reattività) del corpo, sono i parametri che la caffeina in genere riesce a modificare (molti di noi prendono il caffè per “svegliarsi”): i risultati? I parametri sono stati significativamente aumentati solo nel gruppo che ha assunto caffè decaffeinato ma convinto di bere caffè normale. Gli altri gruppi avevano tutti parametri vari ma non particolarmente aumentati. Strano ma vero, la mente è stata più efficace di una sostanza chimica!
Non deve sorprendere, dato che accade anche con i farmaci “normali”. Molti dei loro effetti sono esaltati dalla nostra convinzione di “farci del bene”. La capacità di “curarsi con nulla” è conosciuta dall’antichità. La vecchia medicina, che aveva pochissime armi per sconfiggere le malattie, utilizzava il placebo ed i suoi “rinforzi” proprio a questo scopo. Il vecchio medico condotto prescriveva passeggiate in montagna più che pillole. Qualcuno ricorderà le “punture ricostituenti” che ci tormentavano da piccoli!
Senza trucco e senza inganno
Secondo uno studio del 2017 condotto dall’Università di Oxford, il placebo può avere effetti benefici anche quando il paziente sa che quello che sta assumendo non è un vero farmaco.
L’analisi delle esigue ricerche effettuate su pazienti consapevoli di assumere un trattamento finto, ha prodotto risultati validi in casi di rinite allergica, mal di schiena, colon irritabile, depressione e disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Gli studi condotti al riguardo sono ancora pochi, poiché difficilmente conciliabili con la metodologia considerata da un punto di vista scientifico più precisa ed attendibile, ossia il doppio cieco, secondo cui tutti i partecipanti della ricerca, compresi sperimentatori e volontari, ignorano chi sta assumendo cosa.
La semplice affermazione: “non contiene alcun principio attivo, ma in alcuni casi abbiamo osservato comunque dei miglioramenti” è in grado di generare un livello di suggestione tale nel paziente da indurre reali modificazioni fisiologiche, come per esempio la produzione di endorfine antidolorifiche. Anche il condizionamento studiato dal fisiologo Pavlov, potrebbe spiegare questi risultati. Il semplice gesto di ingoiare una pillola, anche se priva di qualsiasi principio attivo, viene associata dal paziente alla cura e dunque a un processo di guarigione.
L’importanza della relazione
Solitamente, l’effetto placebo ha luogo quando si creano le condizioni ideali per cui la persona è indotta a credere nel proprio processo di guarigione o trasformazione. Nel contesto terapeutico, la relazione medico-paziente e la fiducia sono elementi cardine di tale credenza, poiché inducono il paziente a pensare che la terapia indicatagli funzionerà. Più nel dettaglio: le parole del medico, il suo modo di esprimersi, la comunicazione non verbale e le sue aspettative positive, indurranno nel paziente un potente effetto placebo. A tal proposito, uno studio evidenzia come a parità di trattamento, il risultato migliore si riscontri proprio nei casi in cui il medico sia in grado di utilizzare una comunicazione empatica, basata sulla fiducia, la speranza e la positività rispetto ai benefici del trattamento somministrato.
Conclusioni
È sicuramente interessante scoprire quanto i nostri pensieri e la nostra mente giochino dei ruoli fondamentali nella nostra vita. Anche la forma più inconscia di ragionamento, spesso cela delle potenzialità immense! Lao Tse diceva: “Colui che conosce il proprio obiettivo si sente forte. Questa forza lo rende sereno; questa serenità assicura la pace interiore. Solo la pace interiore consente la riflessione profonda; la riflessione profonda è il punto di partenza di ogni successo.” Un altro grande, Gandhi, sosteneva che “Serenità è quando ciò che dici, ciò che pensi, ciò che fai, sono in perfetta armonia.”.
Trovare un equilibrio tra mente e corpo, tra pensieri e intenzioni, è alla base del proprio benessere. L’effetto placebo è la prova scientifica di come il nostro cervello influenzi il nostro star bene (“Il cervello: se lo coltivi funziona. Se lo lasci andare e lo metti in pensione si indebolisce. La sua plasticità è formidabile. Per questo bisogna continuare a pensare.”- Rita Levi Montalcini). Non c’è altro da aggiungere. Abbiate cura di voi stessi e del vostro corpo tutto, senza trascurarne alcuna parte.