Intervista alla prima neurochirurga italiana della storia
Milena Rosso, o meglio Dott.ssa Rosso, prima neurochirurga italiana che ha tanto da raccontare (e non solo di medicina). Anni difficili, anni in cui l’emancipazione femminile dettata dalla rivoluzione del ’68, incominciava finalmente a prendere piede, tuonando più che mai. Spirito libero, ribelle ed anticonformista. Look alla “Marilyn Monroe” come lei stessa lo definiva, minigonna e trucco audace, come se si volessero sfidare i canoni imposti da una società maschilista e stereotipata, per cambiarli completamente. Ali leggiadre, anima eterea e testa brillante, proprio come una conformazione a farfalla che potrebbe assumere l’abumina sierica umana.
Abbiamo la fortuna di poter scoprire tanto di quegli anni, della nostra storia, della storia di noi donne e di chi ha combattuto per avere ora quello che abbiamo. Un’intervista come poche, un pezzo di storia che solo un’anima così selvaggia e audace, può riuscire a farcela vivere appieno.
Lei è la prima neurochirurga della storia in Italia, com’è stato per una donna affermarsi in quegli anni?
Mi sono specializzata nel ‘72. Un episodio “goliardico” che ricordo è successo qualche anno prima in segreteria dell’Università di Roma “La Sapienza”, dove vi erano altri specializzandi, tutti ragazzi. Questi mi avevano spintonato con la forza verso la finestra, in quanto volevano baciarmi per insegnarmi dov’era il mio “posto di donna”. Per sfuggire ai loro atti maschilisti e sessisti, sono dovuta fuggire dalla finestra, scavalcando dal davanzale. Non era un’azione sicura da fare, ma non avevo altra scelta. Fortunatamente c’era un grosso cornicione che si collegava ad un’altra finestra che rappresentava la mia salvezza. È stato molto divertente vedere tutti i miei pazienti che mi guardavano dal basso, scavalcare in bilico da una finestra all’altra in camice, credendomi folle.
Com’è stato il decorso della sua specializzazione?
Per potermi iscrivere alla scuola di specializzazione, ho avuto parecchie inerzie, ma poi ci sono riuscita. Un altro episodio significativo é avvenuto durante la tesi di specializzazione. All’epoca ero andata un anno in Francia, per studiare con un grande neurochirurgo, che in occasione della tesi, mi avea affidata ad un altro neurochirurgo che si occupava di seguire me ed un altro specializzando. Dopo vari silenzi e rimandi, sono andata a chiedergli come mai non incominciassimo con lo sviluppo della tesi di specializzazione e lui mi aveva risposto che siccome ero donna, non voleva farmi da relatore della tesi e che aveva preferito concentrarsi interamente sull’altro specializzando.
Quindi mi sono dovuta rimboccare le maniche ed ho iniziato a studiare da sola in bibblioteca, arricchendo i miei appunti con tutto il materiale che riuscivo a trovare. Nessuno mi ha mai regalato nulla.
Anche per la battitura della tesi, ho dovuto chiedere aiuto all’ultimo alla segretaria di mio padre che me l’ha battuta in una notte (in passato le tesi si battevano a macchina). Sono riuscita a consegnare il tutto in extremis e a specializzarmi con 70 e lode, l’altro specializzando invece, con 70.
Nelle sale operatorie di quegli anni, ha mai percepito maschilismo o sessismo nei suoi confronti?
Spessissimo. Una volta con un professore, mi ritrovavo a fare un’operazione lombare che presentava difficoltà enormi. Ricordo che era piena estate e durante tutto l’intervento me ne ha dette di ogni. Avevo già la tensione del campo operatorio per niente semplice ed in più dovetti subire per ore ed ore, tutte le sue parole poco piacevoli nei miei confronti. Alla fine, dopo aver terminato l’operazione, lo ritrovai in segreteria lo ringraziai. Lui mi guardò interdetto perchè non capiva. Così replicai: “Professore, la ringrazio veramente perché questa estate ero molto incerta su dove andare e cosa fare e lei per tutto l’intervento mi ha spiegato dettagliatamente dove dovevo andare e cosa dovevo fare”.
Come affrontava tutto ciò a livello personale?
Con la ribellione, in quanto non ero solo una mosca bianca in sala da neurochirurga. Ero molto ribelle soprattutto nel mio modo di fare e nel look. Le poche donne in corsia in quel periodo erano molto conservatrici, vestite principalmente di nero, con i capelli raccolti e senza un filo di trucco. Io ero l’opposto, ero una Marilyn Monroe italiana: capelli sciolti biondo platino, truccatissima ed indossavo la minigonna. Era il mio modo di vivere la femminilità che non era assolutamente in contrasto con l’impegno massimo che ci mettevo nel lavoro. Eravamo nel ‘68 e noi donne stavamo costruendo un nuovo mondo, tra femminismo e diritti delle donne.
Qual è la cosa che più la affascina della neurochirurgia?
Deve considerare innanzitutto che io ero una vera sessantottina e ancora tutt’oggi penso che l’impegno sia alla base di ogni lotta. Quello che mi interessava molto della neurochirurgia era soprattutto fare una rivolta meritocratica, per porre fine al baronato che caratterizzava i camici bianchi in quell’epoca. Non era più il potere del barone a formulare la diagnosi, ma il campo operatorio. Basti pensare che nel lavoro può sempre arrivare un momento di tensione e quando devi anche scontrarti con il potere del barone, si potrebbe non reggere il colpo e andare in burnout.
Nel campo della neurochirurgia, il baronato veniva annientato dall’inconfutabile verità del campo operatorio. Quando formulavo qualsiasi diagnosi, ne avevo piena responsabilità e al minimo errore mi avrebbero sbattuta fuori, ma così non è stato e sono riuscita ad andare avanti a testa alta. Nonostante volessero mandarmi a casa, riuscivo grazie all’evidenza scientifica, a camminare a testa alta e a superare inerzie varie, dovute al duro potere dei baroni.
Quando si è avvicinata al mondo della medicina naturale ed in particolare dell’iridologia?
Ho scoperto quest’affascinante disciplina in un periodo particolare della mia vita. Ero già specializzata in neurochirurgia e mi ero infortunata l’anulare della mano destra, per cui mi risultò impossibile fare certe manovre chirurgiche e mi ritrovai molto limitata nel campo operatorio. Così decisi di abbandonare la neurochirurgia e di realizzare il mio sogno di viaggiare. Durante i vari viaggi, mi sono avvicinata sempre di più al mondo della medicina naturale ed in particolare mi sono innamorata dell’iridologia.
Ricordo per esempio, un rituale di medicina naturale molto interessante quando ero in Indonesia. A Bali subito dopo il parto, bevono tisane di foglie di papaya per depurare il sangue da tutti i processi metabolici ed ormonali che servono per supportare una gravidanza. Questi concetti di purificazione, soprattutto con rimedi naturali ed efficaci, mi hanno avvicinata sempre di più al mondo delle medicine alternative. Fino ad arrivare in Sudamerica a scoprire e studiare nel dettaglio l’iridologia.
Cos’è e a cosa serve l’iridologia?
L’iridologia mi ha affascinato tantissimo perché è una scienza molto particolare. In pratica, con la sola visione dell’iride è possibile fare diagnosi e prescrivere la terapia. Ricordo di una visita che ho fatto da iridologa (e non da neurochirurga) ad una paziente di venticinque anni che soffriva di epilessia grave in cura con Valium endovena. Dopo un’attenta ed accurata visita iridologica, con tanto di ricetta, ho prescritto dei probiotici. Può immaginare il rischio penale di tale prescrizione apparentemente “leggera e pseudopalliativa”, ma dopo un periodo di terapia, la paziente è riuscita finalmente ad allontanare il Valium e non ha avuto più episodi epilettici.
Quali sono le principali patologie curabili con questa metodica diagnostica?
La disciplina iridologica è fortemente personalizzata. Infatti pur avendo una diagnosi standardizzata, ogni persona a livello iridologico presenta cose diverse. Per cui il quadro diagnostico non è mai sovrapponibile ad un’altra patologia e quindi non si può dire nello specifico “ho curato questa patologia x”.
Ricordo ad esempio, di un mio paziente leucemico di Benevento, padre di tre avvocati. Quando è venuto in cura da me, siccome stava seguendo una terapia a base di cortisone, vomitava spesso sangue ed aveva bisogno di varie trasfusioni. Sotto la mia terapia con aloe vera, ho incominciato a sospendere gradualmente il cortisone, per riuscire ad eliminare le emorragie gastriche.
Cos’è successo in seguito?
Proprio in quel periodo Maurizio Costanzo faceva delle trasmissioni dove veniva demonizzato l’aloe e questo rendeva il trattamento terapeutico più difficile da gestire. Infatti questa era una terapia estremamente impegnativa anche dal punto di vista legale, perché contestavo l’azione della medicina allopatica, che sarebbe quella ufficiale che noi tutti conosciamo. Per queste ragioni, i tre figli avvocati del paziente, scettici dei risultati che questa terapia potesse offrire, ad ogni terapia mi facevano firmare delle dichiarazioni per usarle contro di me in caso di aggravamento delle condizioni del padre. Ovviamente ho accettato ed il padre è uscito fuori dalla leucemia e non ha avuto più emorragie gastriche.
Posso dirle una curiosità storica? Cristoforo Colombo andando verso quello che poi diventerà il continente americano, scrisse: “Qui abbiamo un sacco di aloe, quindi va tutto bene”.
Questi sono i punti che ti spingono ad andare avanti, perché curare il paziente non è così semplice come sembra. La persona malata deve lottare prima di tutto contro la fede della società nei confronti della medicina allopatica, dopodiché si ritrova isolato, se non oggetto di critiche, nel seguire la terapia. La medicina naturale punta tanto nel correggere le cattive abitudini, sulla prevenzione alimentare, sullo stile di vita sano e anche sulla correzione del pensiero, perché soprattutto con l’iridologia si arriva alla psicosomatica. Per cui il professionista della salute deve fare davvero un lavoro meticoloso a 360 gradi per curare il paziente e preservarne la salute.
Tutto ciò non significa che con l’iridologia si possano curare i tumori, ma di sicuro si migliora il decorso della malattia e la sopportazione ai trattamenti della chemioterapia con i conseguenti effetti collaterali.
Pensa che medicina allopatica e medicina naturale possano lavorare in sinergia per preservare la salute della gente?
Assolutamente sì. Personalmente ho lavorato insieme a medici allopatici proprio per avere un approccio completo alla diagnosi e terapia. Il mio sogno sarebbe quello di lavorare in un ospedale in cui medicina naturale ed allopatia si incontrassero.
Quale pensa sia il futuro della medicina nei prossimi anni?
Penso sia importante che il medico preservi la sua autonomia nei confronti dei grandi del tempo. Vorrei che sia oggi che in futuro, il medico abbia voce libera e che la medicina non sia mai più quella scienza che ho incontrato io nel ‘68, dove si era in balia del terribile baronato. Anni in cui c’era l’autorevolezza del barone che comandava sugli altri che dovevano eseguire senza obiezioni, né indugi. Ritengo che la scienza debba essere sempre frutto di dibattito e profondo impegno personale e non di banale obbedienza. D’altronde sono stata neurochirurga e in quanto tale, ho disobbedito.
Conclusione
Siamo ormai giunti alla fine di questa intervista ad una donna meravigliosa. Grazie a lei e ad altre ragazze coraggiose di quei tempi, siamo oggi così fortunate di avere la libertà ed i diritti che con tanto sacrificio, determinazione e soprattutto battaglie, siamo riuscite a conquistarci. Di certo non ci è stato mai regalato nulla e oggi siamo solo agli inizi. C’è ancora tanta strada da fare e tante battaglie da affrontare, soprattutto per i diritti di noi donne in tutto il mondo. Esistono paesi dove ancora alle donne è negata l’istruzione, il lavoro, la scelta del partner e la libertà anche nelle cose più semplici. E’ importante essere uniti, tutti, nessuno escluso. Ed è fondamentale rendere onore a quello che già è stato fatto ed omaggiarlo con un continuum di azioni che possano rendere questo mondo un posto migliore.
Per chi volesse contattare la Dott.ssa Rosso, ecco qui la sua email: milenaaurettarosso@yahoo.com